(in occasione della traslazione della salma di Anna Maria Adorni, 25 agosto 1930)
“Figliuole dilettissime,… io vi assicuro, che anzichè invocarle l’eterno riposo, mi sentirei di prostrarmi davanti a quella tomba che ne racchiude le benedette spoglie e pregare Anna Maria Adorni, di sua speciale protezione. Ma siccome Roma non ha ancora parlato, noi ci limitiamo di pregare l’Onnipotente perchè presto l’aureola dei Beati coroni la fronte della buona Madre, e rifulgano sugli altari le virtù eroiche di sì umile, ma grande creatura. ” Oh sì, affrettiamo l’ora divina per una grazia sì incomparabile e facciamo di renderci veramente degni e meritevoli di questo sublime favore. Se non ci è ancora dato di prestarle culto pubblico, nessuno però ci vieta di rivolgerci a Lei privatamente, per invocarla e per pregarla di intercedere per noi presso Dio”… Non basta, care Figliuole, ammirare le doti di spirito di questa grande anima, dobbiamo rispecchiarci nelle sue virtù e divenire, come Lei, forti nella fede, costanti nel sacrificio, amanti della mortificazione e del dovere, accesi di amor di Dio e del nostro prossimo. Virtù che hanno costituito l’epilogo della sua vita santamente trascorsa. Voi, Figliuole carissime, avete voluto, questa mattina, tratteggiare la figura di questa nobile e santa creatura, ma ciò che avete detto è molto, molto inferiore alla realtà, perchè, per quanto si possa dire di Lei, non si arriverà mai a descrivere, in modo adeguato, l’eroismo delle se virtù. Aveva una pietà serafica che si accentuava accostandosi al Banchetto Eucaristico per cibarsi delle Carni S.S. di Gesù, ed io stesso, che più volte la comunicai, vidi il suo volto quasi trasfigurarsi, prendendo un aspetto estatico; qualche cosa di celestiale era in Lei. La sua carità era senza limiti, brillava anche nel luogo più buio dell’espiazione, privo della luce di verità. Dalle tetre carceri dove anime derelitte ricevevano da quell’ Angelo la parola del conforto, della rassegnazione, della pace, si estendeva nei miseri tuguri, ove il povero trovava in lei soccorso, refrigerio alle sue pene, al letto degli infermi ai quali prestava, con materna carità, tutte quelle cure fisiche e morali richieste dalle necessità di ciascuno. Ma la sua carità non era paga: ed ecco che pensò a fondare quest’Istituto onde continuare la sua benefica opera a pro’ delle anime. La sua umiltà era profonda. Faceva il bene senza far rumore, nell’ombra, nell’oscurità, nel silenzio. Nulla al vederla, denotava in lei quella grande Anima che era, ma bastava avvicinarla, per sentirsi migliori; ed io molte volte, durante la sua vita mortale, ebbi questa sorte e vi assicuro che quando mi accostavo a lei, provavo l’influsso benefico della sua santità e mi sentivo spronato a maggior virtù, poichè è proprio dei santi il migliorare coloro che avvicinano”.